Mattarella e il discorso di fine anno 2023 Mappe del potere

Per il messaggio di fine anno 2023 il presidente Mattarella ha adottato un linguaggio semplice, con frasi molto brevi, con cui ha veicolato messaggi universali come la ricerca della pace, il contrasto alla violenza e il riconoscimento delle libertà altrui.

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I messaggi di fine anno del capo dello stato sono una tradizione che si ripete dal 1949. Nonostante sia una prassi non prevista esplicitamente dalla costituzione si tratta degli unici discorsi presidenziali che si ripetono con cadenza fissa, fornendoci la possibilità di valutare come cambiano nel corso del tempo. A seconda della fase storica, del presidente che li pronuncia e delle specifiche sfide che il paese ha affrontato nell’anno passato e con cui si confronterà in quello a venire.

Il discorso di fine anno 2023 è stato il nono del presidente Mattarella, ovvero il secondo del suo secondo mandato. Prima di lui solo un capo dello stato ne ha pronunciati altrettanti. Si tratta di Napolitano che tuttavia, nel corso del suo nono discorso, preannunciò anche le sue dimissioni. Un tema che invece non è stato affrontato dal presidente Mattarella, che dunque non sembra intenzionato a cessare il incarico prima del tempo istituzionalmente previsto.

La durata dei messaggi di fine anno

La lunghezza dei discorsi di fine anno può variare per diverse ragioni. Dallo stile del presidente e il registro che intende utilizzare per l’occasione, al numero di questioni che vengono affrontate.

Lo stesso Mattarella nel suo primo discorso di auguri ha superato le 2mila parole. Solo due anni più tardi però ha optato per un messaggio lungo meno della metà. Una decisione legata probabilmente alla fase politica, a ridosso del momento elettorale. Non a caso negli anni successivi i messaggi sono tornati più lunghi, stabilizzandosi attorno alle 1.700 parole, cresciute un po’ nell’ultimo biennio.

1.871 le parole che compongono il discorso di fine anno di Mattarella del 2023.

Osservando i precedenti dal 1949, il discorso di Mattarella si presenta un po’ più lungo della media di 1.654 parole. Un dato che tuttavia va interpretato considerando le diverse fasi che hanno attraversato gli auguri di fine anno degli inquilini del Quirinale.

I primi discorsi del presidente Einaudi, per esempio, si limitavano a poche frasi di auguri, non superando mai le 256 parole. Il suo successore, Gronchi, ha iniziato sulla stessa linea (378 parole). Già dal secondo anno però ha cominciato ad allungare il testo fino ad arrivare, nel 1957 a 1.110 parole. Al di sotto della media attuale ma comunque di più del discorso di fine 2017 del presidente Mattarella.

In ogni caso dal secondo discorso di Gronchi la lunghezza media dei messaggi ha continuato a crescere, seppur con continue e forti oscillazioni. Cossiga, per esempio, dopo aver pronunciato un discorso di 3.542 parole alla fine del 1990, l’anno successivo si è fermato a 418.

Dopo pochi anni (1997) il presidente Scalfaro ha pronunciato il messaggio di fine anno più lungo della storia repubblicana, arrivando vicino a 5mila parole. Anche nel suo caso, a seconda degli anni, i discorsi hanno avuto una durata molto variabile. Nondimeno si tratta del presidente che si è dilungato di più (3.357 parole in media contro le 1.739 di Mattarella).

FONTE: elaborazione openpolis su dati Quirinale
(ultimo aggiornamento: martedì 2 Gennaio 2024)

Con la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, la lunghezza massima dei discorsi si è estremamente ridotta. Nonostante questo però il secondo presidente che, in media, ha pronunciato discorsi più lunghi è stato Giorgio Napolitano (2.218 parole). La ragione sta in una considerevole riduzione della variabilità della lunghezza dei testi presidenziali che, da quel momento, assumono un andamento meno oscillante.

Lo stile dei discorsi

Ma se la lunghezza dei discorsi ci informa della quantità dei temi e del dettaglio con cui vengono trattati, il numero di caratteri e di parole usate in media in ogni frase ci parla innanzitutto dello stile adottato dal presidente.

Così se è vero che nei primi anni i messaggi erano estremamente brevi, al contempo in quegli anni le frasi erano estremamente lunghe ed elaborate. Nel primo discorso di Einaudi ad esempio, si contavano in media quasi 63 parole per frase e 303 caratteri.

Negli anni successivi però, se pur con le consuete oscillazioni, i discorsi sono andati progressivamente semplificandosi fino ad arrivare a Pertini. I suoi messaggi infatti si componevano in media di 22 parole e 96 caratteri per frase.

Con Cossiga, torna uno stile più complesso (con un picco di 49 parole e 251 caratteri per frase nel 1990) che tuttavia non sarà seguito dai successori Scalfaro e Ciampi, che opteranno per frasi più corte e concise.

Al contrario di Scalfaro, che in alcune occasioni pronunciò messaggi estremamente lunghi ma comunque articolati in frasi abbastanza brevi, con Napolitano oltre a crescere il numero di parole, tornano ad allungarsi anche le frasi. Pur senza arrivare ai livelli di Cossiga o dei primi capi dello stato.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Quirinale
(consultati: martedì 2 Gennaio 2024)

Con Mattarella infine le frasi tornano a semplificarsi, non superando mai i 100 caratteri per frase nel corso del suo primo mandato. Nel primo anno di pandemia, in particolare, il presidente ha adottato uno stile molto asciutto, limitandosi a 13 parole per frase. Un dato superato solo dal discorso pronunciato negli scorsi giorni, quando il presidente ha pronunciato frasi di appena 10 parole (e 67 caratteri).

Da questo punto di vista dunque si tratta in assoluto del discorso con frasi più brevi (in termini di numero di parole) dal 1949 a oggi. Una scelta stilistica che segna, forse, la volontà di raggiungere il più ampio numero di persone possibile, toccando temi che spaziano da complesse vicende internazionali, a importanti questioni sociali e culturali.

Le parole chiave

La parola più utilizzata nell’ultimo discorso di fine anno di Mattarella è stata indubbiamente “pace“. In tutta la prima parte del suo intervento infatti il capo dello stato ha affrontato il tema dei conflitti che stanno sconvolgendo molte parti del mondo, con specifici riferimenti ai conflitto in Ucraina e nella striscia di Gaza.

Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità.

Al secondo posto il termine “violenza” che, intesa come azione organizzata, rappresenta proprio l’assenza di pace ma che in termini più individuali ci interroga sul nostro vivere civile. Una parola che il presidente ha declinato in vari modi, riferendola però nel modo più esplicito alla violenza di genere.

La violenza. Penso a quella più odiosa sulle donne. Vorrei rivolgermi ai più giovani. Cari ragazzi, ve lo dico con parole semplici: l’amore non è egoismo, dominio, malinteso orgoglio. L’amore – quello vero – è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità.

D’altronde anche la parola “donne” rappresenta una delle più usate dal presidente, anche se al terzo posto troviamo un termine diverso, ovvero “libertà“. Un concetto che, come rispetto della libertà altrui, rappresenta forse la chiave indicata dal presidente per evitare il ricorso alla violenza e promuovere una cultura di pace, sia nelle vicende politiche che sociali.

Pace, nel senso di vivere bene insieme. Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Quirinale
(consultati: martedì 2 Gennaio 2024)

Foto: Quirinale

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