I presidenti di regione e il limite dei due mandati Mappe del potere

Negli scorsi giorni si è riacceso il dibattito sul limite dei due mandati per i presidenti di regione. Nei territori interessati le elezioni non dovrebbero tenersi prima del 2025, ma sarebbe opportuno che la questione venisse risolta prima di arrivare all’appuntamento elettorale.

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In Italia una legge stabilisce che i presidenti di regione non possano ricoprire il loro incarico per più di due mandati consecutivi. Nonostante questo però non sono mancati in passato casi di presidenti che si sono candidati per un terzo incarico.

La questione è tornata di attualità negli scorsi giorni a causa di una polemica interna al Partito democratico (Pd). La nuova segretaria Elly Schlein infatti ha sottolineato come la legge escluda la possibilità di un terzo mandato. Una posizione che l’ha posta in aperto conflitto con il presidente della Campania. Già da tempo infatti Vincenzo De Luca ha espresso la sua volontà di ricandidarsi nonostante stia attualmente svolgendo il suo secondo incarico.

Ma la questione non riguarda solo De Luca. Rimanendo in area Pd infatti sembra che anche il presidente della Puglia Michele Emiliano sia intenzionato a ricandidarsi, nonostante il limite posto dalla legge nazionale.

Ma un discorso analogo vale anche per alcuni presidenti di centro destra, come Luca Zaia (Lega), che in Veneto è già al terzo mandato, e Giovanni Toti (Forza Italia), al secondo incarico in Liguria.

Più in generale comunque, tutto il fronte dei presidenti di regione sembra contrario a questo limite. Una posizione discutibile, anche se certamente un intervento per uniformare la materia in tutte le regioni sarebbe più che opportuno.

Il limite dei due mandati e una legge ampiamente disapplicata

Come accennato, il divieto di ricoprire per più di due volte consecutive il ruolo di presidente di regione è chiaramente stabilito da una legge nazionale.

le regioni disciplinano con legge i casi di ineleggibilità nei limiti dei seguenti principi fondamentali: […]
f) previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto […].

Questa norma, attuativa dell’articolo 122 della costituzione, sembra in effetti piuttosto chiara, almeno a una prima lettura.

Il terzo mandato del Presidente di regione

Di diverso avviso però si sono mostrati diversi giudici di merito, quando la questione si è posta prima in Lombardia ed Emilia-Romagna, con gli ex presidenti Formigoni e Errani, e poi in Veneto, con l’attuale presidente Zaia.

Queste decisioni, pur riguardando casi parzialmente diversi, si sono basate sull’orientamento adottato fino a quel momento dalla corte costituzionale e dalla corte di cassazione. La questione centrale riguarda il fatto che una legge quadro non dovrebbe essere specifica. I principi fondamentali che esprime quindi non dovrebbero essere applicati direttamente.

Secondo questa interpretazione dunque, la legge 165/2004 non inserisce direttamente un limite di due mandati, ma piuttosto l’obbligo per le regioni di inserire tale limite nella legge elettorale.

In aggiunta l’articolo 5 della legge costituzionale 1/1999 prevede che nelle more dell’adozione di nuove leggi elettorali regionali si applicano le regole previste in precedenza. Regole che non includevano alcun limite di mandati.

Un po’ diverso invece è il caso del Veneto. Qui infatti nel 2012 la prima giunta guidata da Luca Zaia ha approvato una legge elettorale regionale inserendo il limite dei due mandati. Una norma transitoria della legge elettorale tuttavia ha previsto che tale limite si applicasse esclusivamente agli incarichi ricoperti dopo l’approvazione della legge stessa.

I presidenti in carica al secondo o terzo mandato

Con queste premesse si potrebbe dunque pensare che il limite dei due mandati sancito con legge nazionale non sia effettivamente applicabile, almeno per quelle regioni che non hanno disciplinato la materia. La questione però, come vedremo, risulta più complicata di così.

Attualmente sono 7 le regioni in cui il presidente è al secondo, se non al terzo, mandato consecutivo: Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Puglia e Veneto.

7 le regioni in cui il presidente è almeno al secondo mandato consecutivo.

Tra queste però 4 regioni hanno inserito nella propria legge elettorale il limite dei due mandati e quindi, a legislazione vigente, i presidenti in carica non dovrebbero avere appigli per ricandidarsi.

Per ciascuna regione in cui è in carica un presidente eletto a suffragio universale diretto che sta ricoprendo almeno il secondo mandato sono indicati: il partito di riferimento, il numero di mandati in carica, l’anno in cui è prevista la fine della legislatura e dunque le elezioni successive, la legge elettorale regionale vigente e l’eventuale previsione di un limite al numero di mandati che possono essere svolti dal presidente. Tale limite è in effetti imposto da una legge quadro nazionale (L. 165/2004). L’applicabilità di tale limite senza che questo sia recepito dalle norme regionali tuttavia è messa in discussione.

FONTE: openpolis
(ultimo aggiornamento: giovedì 6 Luglio 2023)

Le regioni che non prevedono un limite ai mandati

Per i presidenti di Puglia, Campania e Liguria invece la situazione è un po’ diversa. Le leggi elettorali di queste regioni infatti non prevedono alcun limite ai mandati dei presidenti, o almeno non esplicitamente. In ciascuna di queste leggi in effetti è incluso un passaggio in cui si afferma l’applicabilità di altre norme non incompatibili.

Questi tre casi comunque presentano una significativa differenza rispetto a quelli sin qui analizzati. Le leggi elettorali delle 3 regioni citate infatti sono tutte successive all’approvazione della legge quadro (2004).

Ricandidandosi quindi i presidenti si esporrebbero al rischio di ricorsi da parte dei propri avversari politici e a un possibile rinvio alla corte costituzionale. Per quanto complessa resti la materia, la consulta si troverebbe quindi a giudicare delle leggi elettorali regionali che hanno chiaramente ignorato i principi generali stabiliti con legge della repubblica. Lo stesso peraltro potrebbe accadere se una o più di queste regioni scegliesse di adottare la strategia usata in Veneto.

Certo resta aperta la questione dell’autoapplicazione di quella che dovrebbe essere una legge quadro. Tuttavia se è vero che i giudici di merito in passato hanno seguito l’orientamento espresso dalle due massime corti italiane è altrettanto vero che la corte costituzionale non si è mai occupata direttamente di questa specifica questione.

Inoltre nel corso degli anni l’orientamento del giudice delle leggi si è evoluto, interpretando in modo meno rigido il principio secondo cui una legge quadro non può mai essere autoapplicativa.

D’altronde se venisse confermata la prevalenza della legge regionale, il rischio sarebbe quello di permettere ai presidenti di eludere il divieto posto dalla legge nazionale evitando semplicemente di legiferare.

La posizione dei presidenti e una possibile riforma

Al di là di queste considerazioni però, come accennato, i presidenti di regione sembrano voler superare in un modo o nell’altro il limite imposto dalle norme statali in vigore.

Sia il governatore del Veneto Zaia che quello della Campania De Luca ad esempio, hanno esplicitamente contestato la ratio di questa norma. Pur esprimendosi in modo differente entrambe le loro argomentazioni contestano che tale limite sia imposto, a parer loro senza ragioni, solo ai sindaci e ai presidenti di regione. Mentre al contrario nessun limite si applica ai membri del governo, ai parlamentari (europei e nazionali) ai consiglieri regionali o comunali.

Tuttavia nell’ordinamento italiano questi sono gli unici 2 incarichi monocratici al vertice di un organo politico esecutivo cui si accede con elezione diretta sul modello del presidenzialismo americano. Incarichi che peraltro sono titolari di un potere notevole nell’ambito del proprio livello di governo. Non a caso anche il modello americano prevede questo limite per il ruolo di presidente, mentre lo stesso non vale per i suoi ministri o per i parlamentari.

D’altronde è la stessa legge quadro a esprimere esplicitamente questa distinzione. Il vincolo infatti è imposto solo nel caso in cui sia adottata una legge elettorale che prevede l’elezione diretta del presidente. Se una regione si dota invece di un modello istituzionale di tipo parlamentare, come ad esempio la Valle d’Aosta, tale limite non si applica.

La posizione ufficiale della conferenza delle regioni risulta più moderata rimanendo nondimeno piuttosto decisa. Recentemente interpellata rispetto alle proposte di legge di riforma delle province la conferenza ha infatti sostenuto la necessità di portare a 3 il limite di mandati. Anche in questo caso però il limite è inteso dal momento dell’approvazione delle nuove leggi regionali. In questo modo dunque si annullerebbero i mandati passati o in corso. Un previsione che consentirebbe (se eletti) ai presidenti al secondo incarico di arrivare fino a un quinto mandato.

Certo non è affatto scontato che il governo decida di spendersi su questa questione. Bisogna tenere presente comunque che i presidenti di regione sono figure importanti, tanto nel panorama politico generale quanto nei rispettivi partiti. Non si può quindi escludere che la maggioranza, a maggior ragione nell’ambito di una riforma degli enti locali, decida di avallare la loro posizione.

In ogni caso se questo non dovesse accadere almeno i presidenti di Campania, Puglia e Liguria potrebbero comunque decidere di candidarsi. Un eventuale sentenza che dichiari illegittimo il terzo mandato arriverebbe infatti, con tutta probabilità, dopo le elezioni.

Foto: Vincenzo De Luca (Facebook)

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